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Francesco Eugenio Negro, SEMPLICITÀ ED EMPATIA. “Quando gli anni e l’esperienza ti avran dato la sapienza…”

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Descrizione

148x210h mm, 55 pp.

Se alla fine della nostra esperienza ci sentiamo realizzati vuol dire che siamo diventati ciò per cui eravamo stati creati. Ognuno ha in sé un compito, decidere la propria vita, nel rispetto dei propri doveri e nella ricerca di ciò che si è. Si deve solo seguire e assecondare la voce che parla dentro, non scoraggiarsi e avere sempre il desiderio di raggiungere un archè, contemporaneo obbiettivo e fine, la scelta della propria vita. “Diventa ciò che sei”, dice Nietzsche. Ciascuno, al termine di questo percorso, dovrebbe, secondo la mia opinione, tramandare la propria storia, ciò che ha reso significativa, con l’esperienza del poi, la propria esistenza. Non per orgoglio personale, piuttosto perché altri, se lo desiderano, ne possano trarre una qualche utilità nel viaggio che anche loro dovranno compiere. Lasciare traccia di sé in funzione di altri è il fine di questo processo. Informare per formare. Il messaggio potrà essere rigettato ma è doveroso trasmetterlo perché, per alcuni potrebbe essere un’utile scintilla nascosta sotto la cenere capace di accendere una nuova fiamma, il bagliore del nuovo o un giro lungo che sollecita nuove idee. Accontentarsi di poco, desiderando molto.
Il combattimento verso la meta è quotidiano. Come del resto è la lotta per la sopravvivenza in Natura, una conservazione da tramandare con i geni e la trasmissione delle informazioni.
Accettare un qualcosa di tramandato è avere l’umiltà di riconoscere che si è avuto un maestro. Per Newton, è salire sulle spalle di chi ci ha preceduto, cioè compiere i propri passi sulle orme di chi è venuto prima, facendo un passo in più. “Guai all’allievo che non supera il maestro”, scrive Leonardo. Quindi, non “un eterno ritorno dell’uguale”, ma una progressione, una spirale evolutiva basata su solidi principi. Senza maestri si è orfani. Ammettere una partenogenesi culturale nasconde un atteggiamento arrogante nel quale l’egotismo domina sulla bellezza di un umile e saggio apprendimento. Il fondamento della propria storia non può prescindere dal riconoscere e accettare le proprie origini culturali per transducere, trasportare, quindi la tradizione. Devo però avere qualcosa da trasportare. Questo è ciò che viene conservato con la storia e con il ricordo di esperienze precedentemente assimilate. La propria realizzazione si può ridurre anche a pochi istanti prima della fine, capaci però, per la loro intensità di giustificare un’esistenza. Defoe in Moll Flanders scrive: “Nessuno può scrivere la propria vita interamente fino alla fine, a meno che non vogliamo che la scriva una volta morto”.
Conservare, proteggere è il fine, la tradizione è il mezzo. Per tutto questo, credo sia utile per sé e per gli altri scrivere ciò che, con l’esperienza, si è intuito e sintetizzato nel corso degli anni. Non un ‘autobiografia, ma la sintesi di una vita ridotta in parole, key words ,che per essere pienamente comprese, devono essere srotolate assumendo una connotazione che si fa pansemiotica, come il fotogramma di una pellicola. Ogni esperienza individuale, suggerisce qualcosa che va ascoltato con rispetto e con desiderio di apprendere.
Durante il lungo lockdown scrissi un piccolo testo, Portatore di età. Mettevo in evidenza come l’anziano fosse stato considerato l’anello debole della pandemia, perché più vulnerabile per età e probabile portatore di altre patologie che avrebbero potuto sovraccaricare i ricoveri e i reparti di terapia intensiva. Ho interpretato l’anziano, “portatore di età” vista come un handicap, in maniera più estensiva che va oltre il momento pandemico. Cercavo di riflettere sull’ esperienza di altre culture, ragionare come l’anziano, utilizzato nel ruolo corretto di silenzioso rumore di fondo di esperienza, avrebbe potuto essere una risorsa. Consideravo, come il giovane, molto più abile nell’uso delle moderne tecnologie, avrebbe dovuto utilizzare la ricchezza dell’anziano, nel viaggio della vita come esperienza aggiunta. L’anziano dovrebbe insegnare come la tecnologia debba essere vista come mezzo e non come fine. È l’esperienza che ognuno deve tramandare nel proprio campo di azione. Il mio è la medicina.
L’uomo è ragione e questa ha necessità di logica. Per il medico la ragione-logica è stabilire una terapia la più semplice possibile e quindi la più utile in quel determinato momento per quel singolo individuo, correlandola con l’empatia per chi soffre. Semplicità ed empatia, due parole importanti, tra loro secondo me complementari, sono i termini che vorrei tramandare. In ciascuna di queste c’è un riferimento capace di far scaturire nuove parole e concetti correlati che rimbalzano tra loro per tornare all’origine.
Scrivo, deliberatamente, senza riferimenti bibliografici, utilizzando ciò che ricordo dopo tanti anni di letture, cioè solo ciò che mi “è rimasto impresso dopo aver dimenticato tutto ciò che ho letto”, per citare Bertrand Russell. La bibliografia la considererò ciò che resta di parole scritte nella memoria del dialogo interiore con persone interessanti che mi hanno stimolato un’utile riflessione, e delle quali conservo il ricordo. Intense conversazioni che mi hanno portato a riflettere. Se i testi hanno il potere della condivisione spero di poter conversare con molti altri e di non aver scritto solo sulla sabbia nulla è importante se non è condiviso.
(dalla Premessa dell’Autore)

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