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Vittorio Tarparelli, Piccolo almanacco dei grani antichi

19,00 

Descrizione

con un’intervista a Livia Polegri
Prefazione di Roberto Lorenzetti

148×210 mm, pp. 188, ill.

Recensione “micropolis”, febbraio 2023, p. 24

Il libro consente di conoscere il variegato mondo del grano senza fermarsi a un approccio superficiale. Inizia raccontandone la storia usando le fonti classiche (Varrone, Columella, Plinio il Vecchio) e sottolinea come dal XII al XIX secolo il consumo del pane, e quindi la coltivazione del grano, sono centrali nel regime alimentare sia in ambiente rurale che urbano. Dalla prima metà del Novecento si assiste a una vera e propria rivoluzione della granicoltura: le varietà tradizionali vengono soppiantate da nuovi frumenti generati con il sistema dell’ibridazione. Tra i primi nel mondo a lavorare in questa direzione (in contrapposizione al tradizionale metodo della selezione genealogica propugnato da Francesco Todaro) fu Nazareno Strampelli, che nella sua Stazione sperimentale di granicoltura di Rieti, e nelle diramazioni periferiche di Leonessa, Foggia, Sant’Angelo Lodigiano, Cagliari, Urbino ecc., dette vita a centinaia di incroci tra grani provenienti da ogni parte del mondo, isolando alla fine un consistente numero di varietà di gran resa che acquisirono il monopolio della granicoltura in Italia e in diverse altre parti del mondo.
Il sistema dell’ibridazione seguito da Strampelli che, va ricordato, lo mise in pratica prima che in Europa si diffondessero le leggi di Mendel, consentirono di generare grani per ognuna delle zone agrarie italiane permettendo un aumento di produzione di oltre 20 milioni di quintali all’anno.
Vittorio Tarparelli pone poi il problema dei grani antichi, oggi di gran moda.
Su questo punto l’autore è molto chiaro: per le razze elette, sia quelle ibridate da Strampelli, che quelle ottenute per selezione da Todaro nella prima metà del ‘900, è del tutto improprio parlare di grani antichi.
I grani antichi sono altri ed è opportuno il lavoro che fa Tarparelli di riportare il vasto mosaico di razze, queste si antiche, che risultano diffuse in Italia nel 1927 in base all’indagine effettuata da Emanuele De Cillis. Siamo solo all’inizio della battaglia del grano e, tranne qualche eccezione (si pensi al Carlotta di Strampelli), le razze censite da De Cillis sono quelle che erano coltivate in Italia da tempo immemorabile. Interessante è poi l’analisi riguardo alla bontà o meno dei grani antichi.
La crisi del nostro tempo ci porta acriticamente a pensare che tutto quanto è collocato nel passato sia migliore di quello che si produce oggi.
Si stabilisce una netta connessione tra il concetto di “genuino” e “salutare” con tutto quello appartenuto a quell’idilliaco mondo contadino dove tutti erano buoni anche se poveri, e che, almeno in parte vorremmo far rivivere oggi.
Dimentichiamo che in quel periodo da un ettaro di terra si ottenevano meno di 10 quintali di grano mentre oggi se ne ottengono 100, così come ci sfugge che anche a causa di un’alimentazione precaria le aspettative di vita non arrivano a 50 anni mentre oggi si superano gli 80.
Tutto meglio oggi? No, per carità, ma neanche tutto meglio allora.
Diciamo che dal passato possiamo aggiungere al nostro presente molte cose positive, senza però mitizzare quel tempo lontano.
Per farlo dobbiamo essere sempre più informati e consapevoli.
Questo libro ci aiuta proprio in questo, a conoscere cioè quel vasto, complicato ma sicuramente affascinante, mondo del grano.
[dalla Prefazione di Roberto Lorenzetti]

 

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