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DIECI PASSI DI TANGO. La danza argentina tra memorie, costume, letteratura, storia

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Descrizione

sfoglia un saggio del libro

a colloquio con l’autore: Sara Altamini, Un viaggio nel ballo con “Dieci passi di tango”, in “L’Opinione delle Libertà”, 12 gennaio 2023.

Ma il tango è un fiume carsico, si inabissa nelle difficoltà, vive in stentati rivoli e rigagnoli, esili allo stremo, per poi, presto o tardi, riaffiorare e riprendere il suo corso, sempre tango, sempre diverso. Certo, questa volta, abbiamo avuto paura. Per due anni non ci si è potuti abbracciare. Sembrava di essere ripiombati nel presente, rubati al nostro sogno fuori luogo e fuori tempo.

168×240 mm, 282 pp., ill. BN e colori

Il tango mosse i suoi primi passi in Europa al tramonto della Belle Époque. Furoreggiò. Elaborato sulle due sponde del Río de la Plata, a Buenos Aires e a Montevideo, quando arrivò per la prima volta nelle principali capitali del vecchio continente era ancora una musica abbastanza semplice, caratterizzata da un ritmo di habanera, ma anche una nuova danza di coppia di provenienza esotica, e, per ciò solo, degna di curiosità. Il fenomeno ebbe la sua fase acuta negli anni 1913 e 1914. Suscitò immediatamente un notevole interesse nelle classi elevate, che erano state del resto protagoniste della sua importazione da Buenos Aires a Parigi, e fu oggetto di un’attenzione quasi morbosa da parte delle due autorità che lo avvertirono come una minaccia: i maestri di ballo e la Chiesa cattolica. Da tante dispute, condanne, assoluzioni e riabilitazioni il tango uscì come sdoppiato, consegnato da un lato a una nebulosa origine peccaminosa, dall’altro lato ammesso, opportunamente emendato, nel novero dei balli sociali legittimati dall’accademia della danza. L’antinomia non ebbe tempo di cristallizzarsi. Venne la guerra a spegnere gli entusiasmi e quel che doveva passare, come passa una moda, passò. Perfino la Chiesa, che ne era stata censore intransigente e, al contempo, impareggiabile strumento pubblicitario, cessò di occuparsene. Giacomo Della Chiesa, che aveva firmato, da arcivescovo di Bologna, una lettera di proibizione, dovette, divenuto Benedetto XV, volgere lo sguardo su altre umane cose. Così pure toccò di fare ai tanti alti prelati che avevano ritenuto di intervenire in argomento con indignate reprimende, moniti, censure drastiche e divieti, a diuturno accigliato presidio della moralità contro le insidie della nuova danza.

Negli anni fra le due guerre la “canzone-tango” divenne, nell’ambito della musica leggera, un genere frequentatissimo dai compositori europei. Il ballo del tango, d’altra parte, godette di una diffusione forse maggiore ma anche di una vita meno intensa sotto il profilo del dibattito pubblico. Il tutto era già rientrato nei ranghi della normalità e, mentre sulle rive del Río de la Plata il fenomeno conosceva la sua affermazione definitiva, in Europa assumeva una traiettoria più sobria. Verso la metà degli anni Cinquanta il rock and roll pareggiò i conti tra Europa e Sud America, e il tango ballato e quello cantato furono entrambi costretti a battere in ritirata, a vivere da rifugiati. Passarono circa tre decenni prima di una nuova appariscente fioritura. Medio tempore non fu un’eclissi totale. Tutt’altro. Astor Piazzolla creò il suo tango, lo chiamò polemicamente “musica di Buenos Aires” e lo mise al sicuro su una nuvola destinata a viaggiare disconoscendo qualsiasi confine. Juan Carlos Copes coltivò la strada del tango per il music-hall e lo portò negli Stati Uniti con un certo contingente successo. Molti musicisti che erano stati protagonisti della stagione dorata in Argentina ripiegarono progressivamente su una musica da ascolto, talvolta decisamente dimenticabile, lo specchio di un riluttante tramonto. Il ballo del tango non scomparve del tutto ma fece una vita piuttosto anonima, diviso fra casa (gli adattamenti nazionali in giro per il mondo come quelli italiano e finlandese) e chiesa (il ballo laccato delle danze sportive).

Senza mai essere davvero andato via, il tango ritorna in Europa e poi nel mondo a metà degli anni Ottanta. Nessuno se lo aspetta, tranne forse un visionario e nostalgico articolo del mensile “Playboy”, edizione francese, figlio anche di una liaison tra Parigi e Buenos Aires che non è mai venuta meno. I primi a essere sorpresi sono i coreografi argentini che allestiscono uno spettacolo per il théâtre du Châtelet di Parigi con obiettivi assai vaghi e un cast improbabile. Il successo è travolgente: mentre gli spettatori stanno ancora con gli occhi puntati su quello stravagante assortimento di ballerini dal fisico qualunque, il tango scende senza clamore dal palcoscenico, scavalca la cornice dell’ultimo quadro di scena e si confonde tra la gente. Questa volta il fenomeno non si contiene. Anche se il tango non sarà mai un ballo per tutti, sono molti quelli che si iscrivono al nuovo esclusivo club. Questa volta non ci sono lobbies che ne intercettano il passo. Quelli che accorrono, del resto, sono più dei senza dio che dei convertiti.

Il momento è favorevole. Già a metà degli anni Novanta accanto ai pionieri vi sono molti adepti. Non è una cosa da ragazzi o da debuttanti. Non è la moda di un giorno o di una stagione ma una nuova religione, una seconda chance, parallela e notturna, nella vita di un uomo. Questa volta il contatto tra le mani e l’abbraccio non sono vissuti con spavalderia e non sono al servizio di un erotismo di cartapesta. Piuttosto con quell’abbraccio trepido si colmano le distanze di una lunga separazione, si torna finalmente a officiare il gioco della seduzione.

Non ci siamo resi conto di quanto tutto questo sia durato. Sono passati quasi quarant’anni dallo spettacolo Tango Argentino. Non si va lontani dal vero dicendo che l’ultimo ventennio, dalla metà degli anni Novanta in poi, ha rappresentato una nuova età dell’oro. Anche la musica è stata meglio compresa e rivalutata: si balla su pezzi scritti per la maggior parte nella prima metà del Novecento. È una musica che sembra improvvisamente senza età. Il tango è un classico della musica popolare ma è anche una musica popolare con tante caratteristiche della musica classica.

A rompere l’incanto questa volta è stato un virus, celebrativo, a suo modo, dei cento anni dell’epidemia di spagnola. Tra gli altri si è portato via Juan Carlos Copes, che, dopo l’avvento del rock and roll, aveva nascosto il tango nei music-hall americani e che negli anni Ottanta aveva contribuito a ideare l’insolito spettacolo al théâtre du Châtelet.

Ma il tango è un fiume carsico e una possibilità infinita.

Alla vicenda del tango, così come mi è accaduto di attraversarla, studiarla e amarla, sono consacrate le pagine che seguono. Sono il primo risultato di un incontro tra i conseguimenti del collezionista, raccolti oggi nella mia casa di Roma (ribattezzata Mate, Museo Aronica del tango in Europa), e l’istinto del ricercatore, uniti dal desiderio di raccontare.

I passi del titolo sono dieci, come erano dieci le figure o i passi prescritti nei breviari teorici dei maestri europei agli inizi del secolo scorso. Ma i capitoli del libro sono nove. L’improvvisazione è coessenziale al tango, sicché il lettore potrà fare il decimo passo a suo piacimento. Indietro, limitandosi a questa introduzione. Di lato, evitando tutto il volume. In avanti.

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