Descrizione
Formato 210x297h mm; brossura; pp. 352
Questo libro è prima di tutto una biografia di Enrico Sciamanna. «Egli racconta di sé stesso, un intellettuale di formazione classica e umanistica, nel corso della quale lo studio delle Arti Belle nella Storia Universale ha lasciato un cospicuo sedimento. […] Un intellettuale […] ma “rosso” e militante. E un critico d’Arte, “rosso”, esperto e militante. Talché miglior titolo al suo libro non avrebbe potuto dare: un libro d’arte, certo, ma di parte. […]
Lettrici e lettori avranno la possibilità di “gustare” questa raccolta di articoli “micropolitani” del nostro Autore; il quale li ripropone senza le date di uscita, e privi di un ordine sistematico, limitandosi a suddividerli in tre parti rispettivamente intitolate a Mostre, Persone, Politica e Costume […].
Nonostante i titoli che parrebbero irrigidire il panorama in una triade monadica, le tre parti della raccolta sono intrecciate tra di loro. Cosicché frammenti biografici di artisti, testimonianze evenemenziali, considerazioni sulle caratteristiche formali di strutture e infrastrutture espositive percorrono costantemente la sequenza. Certo vi sono approcci peculiari all’una o all’altra parte, ma nel complesso l’intreccio tende all’unitarietà d’impianto, realizza riscontri e rinvii, sprigiona la compattezza analitica propria di un cronista che ha gli strumenti concettuali per leggere e dire “cose” piene di senso. Così le cronache si trasformano in materiali per una possibile narrazione storica coesa, sia pure dichiaratamente di parte: sull’Umbria culturale e intellettuale, politica e sociale in un arco di tempo che dagli anni Novanta del secolo scorso arriva all’era della Pandemia, con una previsione sulla quale dobbiamo riflettere: il coronavirus “cambierà” (il verbo è di Sciamanna) l’arte e le relative modalità espressive.
[…]
Il libro dice d’arte quando scrive di coronavirus e quando dice di terremoto. Soprattutto di un terremoto che tocca una città d’Arte come Assisi. La sua amatissima Assisi, ove la tensione non si misura soltanto sulla dicotomia antico/moderno, ma tra (sana) conservazione e (insana) speculazione: dicotomia, questa seconda, che induce sfibramento della città storica, destrutturazioni delle destinazioni proprie di una vicenda millenaria della quale la prima ricchezza è data da chi abita in essa, con i propri affetti, legami, saperi, mestieri e valori. Le città, nelle pagine di Sciamanna, anche quelle meno dotate di “tesori” artistici sono sempre sullo sfondo. E sono città da vivere, non da mordere e poi fuggirne. Stare nelle città, praticarvi tutte le Arti possibili: “chi produce ‘arte’ non fa la guerra, la violenza e così via, o quanto meno è un po’ distratto da pensieri cattivi”».
[dalla Prefazione di Fabio Bettoni]